Invadere la Sicilia, sostenne Churchill significava colpire “il morbido basso ventre dell’Asse con forza effettiva e nel più breve tempo”. La decisione si basava sulla necessità di raggiungere tre obiettivi: rendere più sicure le linee di comunicazione del Mediterraneo; alleggerire la pressione tedesca sul fronte russo; accentuare la pressione sull’Italia in modo da provocarne il crollo.
L’11 giugno 1943, dopo una settimana di fuoco violento e ininterrotto, cadeva in mano alleata l’isola di Pantelleria.
L’attacco decisivo contro la Sicilia si ebbe nella notte tra il 9 e il 10 luglio. Si trattò del primo assalto anfibio in grande scala contro una costa presieduta dal nemico. Lo sbarco alleato metteva a nudo non solo la mancanza di mezzi e di difese, ma il deteriorarsi di qualsiasi spirito di resistenza sia nell’esercito che presso le popolazioni civili. Era la crisi dell’intero apparato fascista, che il massiccio attacco alleato svelava in termini drammatici.
L’incontro di Feltre tra Hitler e Mussolini
Lo scacco militare fu fatale per il regime fascista e per Mussolini, che, fino a pochi giorni prima dello sbarco, aveva pubblicamente dichiarato di ritenere impossibile una invasione del suolo nazionale. Le stesse gerarchie fasciste lo misero sotto accusa. Il suo viaggio a Feltre per incontrare Hitler, proprio mentre, il 19 luglio, Roma veniva sottoposta ad un tremendo bombardamento aereo che distrusse il quartiere San Lorenzo, non ebbe nessun risultato pratico.
La seduta del Gran Consiglio, l’arresto di Mussolini e il governo Badoglio
Di fronte al crollo militare il re temette di essere travolto e corse ai ripari con l’appoggio di Dino Grandi e di altri gerarchi fascisti. Nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del fascismo votò a maggioranza (19 favorevoli, 7 contrari ed una astensione) un ordine del giorno, proposto dallo stesso Grandi, e sottoscritto da altri esponenti del regime, quali Ciano e Bottai, nel quale si chiedeva al Duce di restituire al Sovrano, secondo la lettera dello Statuto, il comando militare. Il giorno dopo, Mussolini, recatosi dal re, venne destituito e arrestato. La guida del governo venne affidata al generale Pietro Badoglio (1871-1956).
La sera del 25 luglio gli italiani appresero dalla radio la notizia della destituzione di Mussolini e poco dopo ascoltarono un proclama di Badoglio, nel quale veniva, comunque, lasciato poco spazio alle attese di un ritorno ad un regime di pace e di libertà.
L’Italia non tornava alla democrazia e l’operazione del 25 luglio appariva, in realtà, il gesto estremo con il quale la Monarchia, grazie all’azione svolta da una parte della gerarchia fascista ormai convinta che occorresse, per il bene del paese, un svolta radicale e soprattutto la sostituzione di Mussolini. Cominciò a riemergere, in questo clima, il ruolo dei partiti antifascisti, attraverso una serie di iniziative (comizi, appelli, manifesti, giornali) e la costituzione di comitati interpartitici, che si fecero sostenitori di precise richieste politiche: in particolare l’armistizio e la fine della guerra e la costituzione di un governo fondato sui partiti.
L’armistizio
Ma, sul governo Badoglio gravava un altro e non meno delicato problema: la ricerca della strada migliore per uscire dalla guerra, rompendo l’alleanza con la Germania e avviando le trattative con gli alleati per concludere un armistizio onorevole. Era diffusa l’illusione che, pur di far uscire l’Italia dalla guerra, gli alleati avrebbero rinunciato alla resa incondizionata. Solo ai primi di agosto cominciarono i primi contatti con gli alleati per giungere ad un armistizio, che venne sottoscritto il 3 settembre, a Cassibile, in Sicilia, dal gen. Castellano per l’Italia e dal gen. Bedell Smith per gli alleati. Agli anglo-americani premeva una sollecita firma dell’armistizio, tanto che cedettero alla richiesta di Castellano per l’invio di una divisione alleata aviotrasportata per aiutare gli italiani nella difesa di Roma.
La fuga del re e l’invasione tedesca
In quel drammatico momento per le sorti del paese e per il destino degli italiani, unica preoccupazione delle massime autorità italiane fu di lasciare Roma per rifugiarsi in una zona sotto il controllo alleato ed evitare di cadere nelle mani dei tedeschi. La famiglia reale, Badoglio ed altri ufficiali, lasciarono Roma il pomeriggio del 9 settembre. Venne deciso di dirigersi in auto verso Pescara e Ortona e da qui, sulla torpediera “Baionetta” imbarcarsi per Brindisi, ove venne fissata la sede del governo del cosiddetto “Regno del Sud”.
Tutti i comandi periferici vennero lasciati senza ordini provocando caos e sbandamento generale. I comandi tedeschi occuparono l’intero paese senza incontrare resistenza, se non in pochi e sparuti gruppi di militari e di civili che tentarono azioni quasi disperate, come avvenne a Roma a Porta San Paolo.
Ad eccezione delle regioni meridionali liberate dagli anglo-americani, il resto del paese veniva sottoposto al duro e spietato regime dell’occupazione militare tedesca. Le forze armate italiane, senza ordini e senza indicazioni finirono per sbandarsi: prevalse nella gran parte degli ufficiali e dei soldati la convinzione che non restasse altro da fare che tornare a casa e farla finita con quella guerra.